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Ma perché scrivo?

  • Immagine del redattore: William H. Ribera
    William H. Ribera
  • 22 mar 2022
  • Tempo di lettura: 5 min

Ormai due anni fa, nel luglio 2020, un grande amico e ancor più grande collega (A.) mi pose una domanda.

Ero attanagliato dal più grande Blocco dello Scrittore™ che avessi mai affrontato, un tipo di Blocco che volontariamente ho escluso dalla mia lista fatta nel post apposito: il Blocco dello Scrittore per Mancanza di Motivazione

Questo Blocco è infido e subdolo: ti fa perdere totalmente di vista la scintilla che ti spinge a scrivere, tramite una sola parola: "PERCHÉ".

Perché scrivi?

Perché continui a farlo nonostante probabilmente non interessi a nessuno?

Perché vuoi dare quel messaggio e vuoi trasporlo in quel modo? 

Di fronte a queste domande, ti sembra improvvisamente tutto inutile. La motivazione per cui scrivi sparisce o sfuma fino a diventare irriconoscibile, e questo tipo di Blocco può portare uno scrittore o aspirante tale persino ad abbandonare la scrittura in modo definitivo.


Io non ho soluzioni da proporvi al riguardo.

Ho solo scritto un testo, all'epoca, nel 2020, mettendo giù quel che penso della scrittura, di cosa essa sia per me, dalla nascita di tale passione ad oggi, tramite tutte le sue evoluzioni.

È una scrittura nuda, forse un po' cruda e asciutta, ma soprattutto brutalmente sincera. Non avevo ragione di mentire a me stesso, e A. questo l'ha apprezzato.

L'ho apprezzato anche io, in una qualche maniera, per cui vi propongo quel breve testo autobiografico qui, oggi, sperando come al solito che possa risultare utile a qualcuno.


«Rivedi daccapo perché scrivi e il motivo che l'accompagna: perché lo fai? Te lo sei chiesto? C'è qualcosa che vorresti dire e non puoi farlo se non scrivendo?»


Questa, in sintesi, è stata la domanda di A., che ha messo nero su bianco ciò che mi chiedevo da qualche tempo.

E la mia risposta è stata la seguente:


«Scrivo perché non so fare nient’altro. È questa la verità. Vorrei saper disegnare, ma non lo so fare. Dipingere? Neanche a parlarne. Cantare? Me la cavo, ma non so comporre, non so scrivere testi. Sport? Figuriamoci.

Scrivere è l’unica cosa che mi riesce – più o meno – bene. È questa la verità. E allora ho continuato a farla. E a farla. E a farla ancora. Più la facevo più diventavo bravo. Più la facevo più l’attenzione si catalizzava su ciò che mettevo su carta, sulla mia anima messa a nudo, e pur disprezzandomi per il piacere che ne derivavo, non vedevo mai l’ora di averne ancora, di quelle attenzioni.

La verità è questa: senza attenzione valuto spesso la morte, che non reputo una via esagerata né definitiva quanto io la consideri una vecchia amica, che mi ha seguito passo passo durante tutta la mia adolescenza e durante tutta la vita da quel punto in poi.

Io amo scrivere.

Scrivere mi permette di esprimere ciò che ho dentro, di trasformare questa matassa ingarbugliata di pensieri in un gomitolo di lana ordinato e preciso, formato di righe e frasi e parole e sillabe e lettere e punti. Punto dopo punto vado verso una conclusione che non arriva, perché quando chiudo il pc e poi vado a dormire la pagina mi aspetta immacolata il giorno dopo, proprio dove avevo interrotto, e io vado in bestia perché non c’è ritualità nello scrivere al computer, e io ho bisogno della mia ritualità.

Io odio scrivere.

Scrivere mi frustra, scrivere mi rende a volte triste di non riuscire ad andare oltre le parole, a trasmettere un significato, o un significante più profondo. Non puoi nascondere nulla nelle parole, puoi solo scrivere un mattone di cinquecento pagine i cui fogli, sfogliandolo, possano sussurrare in modo impercettibile a qualcun altro “non sei solo”. Puoi solo sperare che un futuro lettore colga quel fruscio, che colga il tuo messaggio di speranza per il mondo, e puoi solo sperare che non ti odi dopo averlo privato di un personaggio che amava solo perché un personaggio che odia potesse avere il suo arco narrativo.

Scrivere è l’unico modo che conosco per rielaborare il tutto che mi succede. L’essere preso in giro da bambino, la solitudine della mia infanzia, i miei amici immaginari, e più tardi l’incomprensione dei miei pari, con interessi troppo diversi dai miei, che inutilmente disprezzavo invece di cercare di conoscere il più possibile… E infine ultimo ma non ultimo, il lutto per la perdita di mia nonna, e poi di mia madre. Tutto buttato dentro il calderone della scrittura, odi et amo della mia vita.

Catullo ha espresso benissimo questa dualità, davvero:


«Odi et amo.

Quare id faciam, fortasse requiris.

Nescio, sed fieri sentio et excrucior».


«Odio ed amo.

Perché lo faccia, mi chiedi forse.

Non lo so, ma sento che succede e mi struggo».


È perfetto, e ci è arrivato uno che si beveva l’acqua al piombo duemila e passa anni fa. Cosa posso mai scrivere io di tanto significativo? A stento so scrivere qualcosa, figurarsi nascondere un significato nei miei libri.

…forse il segreto è il piombo nell’acqua.

Il punto è che non c’è nulla che vorrei dire per davvero. Il mio unico messaggio per i miei lettori è “Ehy. Non sei solo. Respira. Goditi la brezza sul tuo balcone mentre leggi queste avventure di gente diversissima da te, che addirittura non è umana o non lo è del tutto. Goditi la sensazione della carta o del kindle sotto le dita, goditi questo momento passeggero in una umida sera d’estate. Goditi il frinire di cicale e grilli mentre ti immergi in queste pagine. Non sei solo. Ci sono io con te. E va bene se riderai o piangerai: resterò con te. C’è speranza nel mondo, e quella speranza sei tu. Puoi fare la differenza, per quanto piccolo tu sia, se lo vuoi. E se non lo vuoi va bene lo stesso. Non c’è nient’altro che devi sapere: mi importa di te, e non sei da solo”.

Non c’è nient’altro che voglio comunicare. Niente moralismi, o bacchettate sulle mani perché non si legge. Mi va benissimo se quello che scrivo non vi piace per questo o quell’altro motivo. Dopotutto non c’è nulla di serio nel mio messaggio. Non c’è nulla di politico nel rappresentare la vastità umana sotto forma di personaggi gay, transgender, non-binary, di colore, non c’è nulla di politico nel volere che chiunque possa riconoscersi in qualcuno che sia nelle mie pagine.

Non voglio comunicare nulla di speciale.

O almeno, io lo percepisco come nulla di speciale.

Non potrei trasmettere questo messaggio in alcun altro modo se non scrivendo, semplicemente perché tutto quello che so fare è scrivere. Non cantare, non suonare, non comporre, non disegnare, non recitare. Solo scrivere.

E il fatto che io abbia scritto due pagine di word per dire quanto mi faccia schifo eppure ami scrivere, la dice lunga sul fatto che non so proprio fare nient’altro.»

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